Ogni tanto mi chiedo perché siano in molti a riporre i mondi delle avanguardie in una categoria mentale che poco ha a che vedere con gli ambienti underground; lo stesso circuito accademico, che per i suoi concerti propone talvolta cartelloni ritagliati dal panorama dei ruggenti anni Sessanta, snobba "il sotterraneo" reputandolo cosa altra da sé e – forse – poco degna di considerazione.
Quello che oggi è considerato patrimonio della sperimentazione musicale non è comparso magicamente dal nulla: i luoghi desiderati dalla sperimentazione non erano le grandi sale da concerto ma spazi diversi – la città, la fabbrica, la piazza, la radio... – da trasformare in tempio temporaneo dell'esperienza sonora. In secondo luogo, dovremo ricordare che la maggior parte delle volte il punto di partenza del suono nuovo non si trovava nelle accademie o nei conservatori ma coincideva con le mura umide di un qualche scantinato o di appartamenti fatiscenti che accoglievano le fasi di produzione o piccole esibizioni destinate a una manciata di testimoni (probabilmente neanche troppo entusiasti).
Per fare qualche esempio: Teresa Rampazzi, eroina della sperimentazione elettronica italiana, lavorava con il suo gruppo Nuove Proposte Sonore nella soffitta della sua casa di Padova; Vladimir Ussachevsky e Otto Luening – tra i padri della tape music americana – non avevano un posto dove lavorare e approfittavano temporaneamente degli spazi offerti dai loro amici, come lo scantinato di Arturo Toscanini.
Edgard Varèse e John Cage avevano equipaggiato le loro cucine con registratori a nastro magnetico; i coniugi Barron trasformarono il salotto di casa in uno studio di registrazione mentre Yoko Ono programmava eventi e concerti assieme al compositore La Monte Young in un loft a Chamber Street, Lower Manhattan (la foto in apertura ritrae proprio uno di questi eventi).
Come ricorda la stessa Ono, inizialmente l'operazione non attrasse molti spettatori: al primo spettacolo si poterono contare tre sole persone tra il pubblico (John Cage, David Tudor e MC Richards) mentre al secondo evento si aggiunsero Peggy Guggenheim, Max Ernst e Marcel Duchamp. Pochi ma buoni.
Insospettabili personaggi della musica indie degli anni Novanta si sono poi formati grazie al pensiero e alla cura dei protagonisti delle recenti avanguardie: fu Glenn Branca –compositore statunitense celebre per composizioni come Symphony N°2 in cui fa confluire il suono di 11 chitarre, percussioni e rumori di fondo – a presentare Lee Ranaldo a Kim Gordon e Thurston Moore nel 1981 e a traghettarli nel mondo della sperimentazione attraverso qualche lezione facendo nascere così i Sonic Youth. (Nota: e Glenn Branca sarebbe esistito in quello stesso modo se nel i Neu! Non avessero registrato l'omonimo disco nel 1972?).
Per quanto apparentemente distanti dal mondo della ricerca, i Sonic Youth non hanno mai negato le loro radici nel mondo della sperimentazione, ravvisabili nell'uso del feedback o nelle operazioni casuali di John Cage impiegate in alcune tracce dell'album Daydream Nation del 1988 (riascolta l'album qui).
Quindi non dovrà stupire che artisti come Moore e Gordon si siano mescolati, in tempi non troppo lontani, a pioniere della ricerca sperimentale come Maryanne Amacher: nel 2004 i Sonic Youth decidono infatti di realizzare un documentario dedicato alle protagoniste della sperimentazione musicale, un film della durata di 30 minuti provvisoriamente intitolato "OtherWomen".
Maryanne Amacher (1938-2009) ha dedicato la maggior parte della sua produzione musicale all'esplorazione sistematica delle emissioni otoacustiche, ossia dei suoni prodotti dalla vibrazione delle cellule ciliate del nostro orecchio interno in risposta a forte stimolo sonoro:
When played at the right sound level, which is quite high and exciting, the tones in this music will cause your ears to act as neurophonic instruments that emit sounds that will seem to be issuing directly from your head ... (my audiences) discover they are producing a tonal dimension of the music which interacts melodically, rhythmically, and spatially with the tones in the room.
Dopo aver collaborato all’incisione dei suoni naturali per la Lecture on the Weather di Cage (1975), al MIT Amacher inizia a interessarsi a quelli che definisce ear tones:
I suoni di risposta che creiamo come risultato dello spazio acustico in cui ci troviamo sono il mio interesse come compositrice. I suoni di una stanza influenzano la nostra mente e il nostro corpo. Quest’ultimo risponde creando nuovi suoni. Ciò che io chiamo geografia percettiva è l’interazione, l’incontro tra questi suoni, il nostro processare ciò che è dato. Distinguo se i toni sono originati dalla stanza, nell’orecchio, nel cervello per esaminare questa mappa e amplificarla musicalmente. [...] È una musica che empaticamente porta attenzione a quanto ci sta accadendo.
Alvin Lucier ricorda così un’installazione di Amacher realizzata per il New Music America Festival nel 1980, all’interno della casa vittoriana del direttore d’orchestra e pianista Dennis Russell Davis:
La casa era riempita dei più straordinari suoni che potessero essere uditi. Una delle caratteristiche di questi suoni era che erano estremamente alti di volume. [...] Ricordo che tutti quanti se ne stavano fuori dalla casa che esplodeva di suono. Se eri abbastanza coraggioso, andavi dentro. Era come una sauna; si provava a vedere per quanto si riusciva a stare dentro. La gente diceva: «Io ci sono rimasto per dieci minuti», un altro: «Io per quindici». Alcune persone hanno detto che ci sono rimaste per tutto il tempo ma io non ci credo.
E allora: lunga vita alle connessioni!
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