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Immagine del redattoreJohann Merrich

Sull'arte di arrangiarsi

Aggiornamento: 19 feb 2021

Ovvero: qualche esempio che ci può aiutare a rivalutare il valore della scarsa disponibilità di mezzi in ambito creativo.





Ho sempre pensato che i musicisti – soprattutto quanti si occupano dell'espressione elettronica – possono essere divisi in due grandi macrocategorie: i feticisti accumulatori e i lungimiranti investitori.


Gli accumulatori non si sbarazzano mai degli strumenti inutili, nemmeno quando non li utilizzano da anni; il loro atteggiamento feticista non consente di valutare lontanamente l'idea che i proventi di una vendita potrebbero fungere da risorsa per acquistare qualcosa di estremamente necessario.


Gli accumulatori preferiscono lamentarsi del non-avere, guardando frustrati i vecchi strumenti accogliere coltri di polvere sottile. Con grande certezza, so di appartenere a questa prima categoria; nel corso degli anni ho accumulato un sacco di roba inutile, cose di poco valore ma che messe assieme e rivendute mi potrebbero sicuramente generare il denaro necessario per acquistare, che ne so, il Cathedral della Electro-Harmonix che vorrei comprare da almeno tre anni.


I lungimiranti investitori invece non serbano alcun feticcio: sono degli anaffettivi dello strumento e la loro concezione post-animista merita rispetto; comprano strumenti, effetti, dispositivi vari e quando capiscono che l'acquisto era sbagliato o non più necessario alla tecnica, rivendono tutto al volo, generando così il denaro necessario per acquistare altro, eliminando così la domanda: "e adesso questo, dove lo metto?".


Gli investitori risolvono facilmente i problemi tecnici generati dal non-avere mentre gli accumulatori si trovano per forza di cose costretti ad attivare bizzarri "piani B" per sopperire alle mancanze. 

Tali processi di creatività possono risolversi in assoluti colpi di genio o in disastrosi fallimenti. Credo però che l'accumulatore sia in qualche modo più vicino a una certa maniera di fare musica del passato, quando ci si arrabattava per risolvere problemi e generare suono.





Dato il mio essere costantemente squattrinata e la mia caratteristica di accumulatrice, quando incontrai per la prima volta Pauline Oliveros mi venne molto spontaneo chiederle come avesse fatto lei in gioventù, senza strumentazione adeguata, senza denaro e senza la possibilità di avere ritrovati tecnologici all'ultimo grido. Pauline raccontò che lei e i colleghi del San Francisco Tape Music Center avevano un grande spirito di inventiva – lo stesso che portò alla nascita del primo modello di Buchla – e che una volta, per creare effetti di riverbero, aveva usato vari rotoli finiti di carta igienica.





Anche Ussachevsky e Luening erano dotati di un elevato grado di problem solving: non possedendo – ancora – uno studio per i loro primi esperimenti di tape music, sfruttavano il salotto di Ussachevsky, la casa in campagna di Henry Cowell e pure lo scantinato di Toscanini. Dei veri squatter della sperimentazione!


Stufa del poco tempo a disposizione agli studi del GRMBeatriz Ferreyra decise di lasciare il suo posto da Schaeffer per farsi uno studio privato nel suo appartamento al dodicesimo piano di un palazzo di Parigi. Aveva recuperato dalle immondizie della RTF due Ampex e per creare gli effetti di riverbero desiderati impiegava l'acustica della tromba delle scale del suo condominio.





 


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Per saperne di più:


Un libro che racconta in modo alternativo la storia della rivoluzione elettronica, delle sue invenzioni e protagonisti:

Trevor Pinch, Frank Trocco, Analog Days. The Invention and Impact of the Moog Synthesizer, Harvard University Press, 2002.





 


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