L'intervista fa parte della serie di podcast "Brevi Storie • EMS Series" accolta dalle frequenze di USMARADIO e dedicata al passato, presente e futuro degli Electronic Music Studios: gli EMS sono ancora attivi? Chi ci lavora e come? La serie di podcast include una raccolta di interviste, suoni e musica per scoprire le eredità e i nuovi talenti degli EMS. A partire da gennaio 2022 sarà accompagnata da articoli di approfondimento da leggere su musicaelettronica.it.
Questa nuova serie inizia con 3 episodi in collaborazione con Heroines of Sound Festival e dedicati all'EMS di Radio Belgrado e al suo Synthi 100: restaurato grazie a Svetlana Maraš, il dispositivo musicale è stato utilizzato da Midori Hirano nella sua ultima composizione commissionata dal festival berlinese Heroines Of Sound.
Compositrice e sound artist, Svetlana Maraš lavora nell'intersezione tra musica sperimentale e sound art. Nata a Belgrado nel 1985, Maraš è professore di Creative Music Technology e co-direttrice dell’Electronic Music Studio della Hochschule für Musik FHNW, Basilea. È vincitrice di prestigiosi premi di composizione e ha presentato il suo lavoro nei più importanti festival dedicati alla nuova musica, da Ars Electronica al MoMA di New York. Dal 2016 al 2021, Svetlana Maraš è stata compositrice in residenza e direttrice artistica presso lo studio di musica elettronica di Radio Belgrado, dove si è concentrata in numerose attività: dalle residenze artistiche ai corsi di formazione, al restauro dell’EMS Synthi 100 della Radio.
J.M. - Partiamo dall'inizio: come è nato il tuo interesse per il suono elettronico?
S. M. - Studio musica da quando ero piccolissima, da quando avevo 5 anni; ho avuto una formazione classica, nel senso che ho studiato strumenti acustici: ho suonato il pianoforte per molti anni perché era l'unica cosa offerta dove sono cresciuta. Ho preso lezioni di musica alla scuola primaria, al liceo, poi ho frequentato il conservatorio e la classica era quanto potevo studiare… Ma poi, quando mi sono trasferito a Belgrado e ho iniziato a studiare composizione all'università, ho potuto anche allargare il mio circolo artistico al di fuori dell'accademia. Ho incontrato persone con cui potevo improvvisare. In realtà penso che avessi un gran bisogno di sfuggire ad alcuni vincoli strutturali dati dagli strumenti acustici… e così mi sono ritrovata a imparare l'elettronica da sola, in modo molto intuitivo. Prima di allora conoscevo la computer music perché potevo farla a casa, principalmente componendo… ma, come ho detto, è grazie all'improvvisazione che ho capito di avere la necessità di sviluppare qualcosa di più versatile… Ed è così che l'elettronica è entrata in scena.
J.M. - Quali sono stati i primi dispositivi che hai impiegato?
S. M. - Una delle prime cose che ho sperimentato è stato il mondo del no-input mixer, con l’aggiunta di alcuni effetti... e anche i microfoni a contatto, cose del genere... Ma poi, molto velocemente, ho provato a includere dispositivi per computer e controller che usavo a casa. Quindi, per esempio, sperimentavo a casa con dei tablet per scrivere o dipingere… delle tavolette grafiche molto economiche... volevo investigare le connessioni tra disegno e suoni, ma attraverso l'uso del computer; in qualche modo era una vera interfaccia con cui suonare. Queste sono state le prime cose che ho usato. Più tardi, quando mi sono avvicinata ai linguaggi di programmazione – principalmente Pure Data, ho creato le mie patch e un controller MIDI molto semplice con cui suonare. Ora penso di aver raggiunto un punto in cui per la prima volta sono molto soddisfatta e a mio agio con il mio setup, perché quello che uso ora mi consente la versatilità di lavorare con i suoni e un uso abbastanza strumentale. Ho suonato molto con persone devote agli strumenti acustici e con strumentisti – nel senso più classico – e penso che proprio questo mi abbia spinto a sviluppare il mio strumento in questo modo, per renderlo molto suonabile. Con la configurazione che uso ora funziona tutto abbastanza bene.
J. M. - E quindi qual è il tuo setup attuale?
S. M. - Mi sono sbarazzata del laptop, perché volevo sfondare quell’idioma: in live non ho un computer portatile, o meglio, ne uso uno come brain operator ma non è visibile, non si frappone tra me e il pubblico. Praticamente ho davanti a me solo un tablet con un controller MIDI che mi dà la possibilità di manipolare il suono in tempo reale, e poi un altro controller chiamato Sensel che è a pressione e che mi permette di scolpire il suono in tempo reale. Ciò che aiuta molto sono anche i pedali... Quindi queste tre cose sono le parti principali della mia strumentazione. Mi permettono di interagire quasi fisicamente con il suono.
J. M. Sembra un set molto interessante… a un concerto di musica elettronica a volte si ha l'impressione che manchi qualcosa allo spettacolo... Vedi tutti questi artisti immobili davanti ai loro sintetizzatori... è una sensazione molto diversa da quella che si prova, ad esempio, durante un concerto rock. Ho sempre pensato che forse questo è il motivo per cui le persone amano alle vere proiezioni video alle loro spalle durante i concerti, perché in questo modo in un certo senso superi quel problema di "non-accadimento" durante il concerto…
Vero! Non ho mai usato proiezioni durante i miei live! Mi sono liberata di tutte quelle cose davanti a me e al pubblico, come il computer... Ciò che penso sia davvero interessante, è che in questo modo mi sembra di ascoltare anche in una maniera diversa, perché una volta che ti senti aperto verso il pubblico sai, anche con il tuo corpo... hai il feedback di ciò che il pubblico sente in un certo momento, una percezione che ovviamente si riflette in una certa misura anche quando stai suonando.
J. M. - Uno dei tuoi lavori più recenti mi ha molto incuriosito: si tratta dell'installazione realizzata per la Wiesser Elephant Gallery di Berlino nel gennaio 2020 e intitolata "Il Tempo Insassato che pur scorre". Tre elementi hanno catturato la mia attenzione: il titolo in italiano, la sua dedica a Eliane Radigue e il suono costruito con il famoso EMS Synthi 100. Ci racconti qualcosa a proposito di questa installazione?
S. M. - In questa installazione sono fondamentali due elementi separati. Da una parte ci sono due registratori a nastro, realizzati appositamente per quest’opera e installati in due casse di marmo posizionate sulle pareti destra e sinistra della sala che accoglie l’installazione. Nel lato opposto all’ingresso della stanza c'è qualcosa che è coperto da un panno bianco molto pesante. Sotto ci sono gli altoparlanti, distribuiti in modo non uniforme... Ci sono i monitor a pavimento che emettono il suono e riempiono la stanza... Quando stavo scrivendo la descrizione della mia installazione, una cosa che ho detto è che i suoni riempiono la stanza come se fossero luce: sono le luci nella stanza. Il suono è diffuso dappertutto. I dispositivi alle pareti funzionano continuamente: il nastro cola fuori, si riversa sul pavimento e poi, dopo un po', torna al suo posto. Ciò che si ascolta è il suono produco mentre lavoro in studio con i nastri: sono i suoni manuali della bobina, la pressione del tasto play, il riavvolgimento... Mi piace la definizione che ne ha dato un musicologo: si tratta di ontologia del suono, e questo, credo, sia il significato in profondità. È stato un modo per sottolineare come questi dispositivi abbiano un suono tutto loro. Trovo il momento dei nastri che si riversano sul pavimento e poi il loro ritorno in sede come qualcosa di veramente lirico, e questa per me è la parte più importante dell'installazione... Altri dettagli mettono poi questa installazione in relazione con certi elementi del Barocco… il titolo italiano e altri elementi stilistici potrebbero portarti a fare delle associazioni in tal senso. C’è anche l’elemento scultoreo e il fatto che il nastro scorra fuori da queste scatole di marmo che rappresenta, in un certo senso, cosa potrebbe succedere se la pietra potesse essere scomponibile come il nastro... Hai detto che ho usato i suoni dell’EMS Synthi 100 ed è vero: si tratta della stratificazione emessa dai diffusori a pavimento che riempie la stanza. Ho registrato più di 100 suoni degli oscillatori dell'EMS Synthi, manipolati in modo tale da riempire lo spazio fornendo solo presenza, senza dire troppo.
J. M. - Radio Belgrado è una delle stazioni radio più longeve d'Europa. Puoi raccontarci un po' della sua storia e quando hai iniziato ad interessarti a questo luogo storico?
S. M. - Lo studio di musica elettronica che si trova a Radio Belgrado, appartenente al canale 3 della Radio, è famoso da quando è stato fondato… quanti fanno musica elettronica e sperimentale in Serbia lo conoscono da sempre. Ha avuto un ruolo storico molto importante nello sviluppo della musica elettronica in Serbia e in Jugoslavia, ha avuto un impatto molto ampio. E così, ho conosciuto lo Studio molto tempo fa. Lo Studio ha interrotto la maggior parte delle attività negli anni '90 e io sono arrivata lì su invito nel 2016, quando ho iniziato a lavorarci; in quegli anni lo studio era più o meno non funzionante, non aveva alcuna attività precedente che coinvolgesse in qualche modo altri compositori, tranne l’unico che vi lavorava.
J. M. – E come è arrivato lì il Synthi 100? Quali erano gli altri dispositivi e tecnologie a disposizione dello Studio?
S. M. - Ah, questa è una storia molto interessante! Radio Belgrado ha avviato l'intera faccenda dell'acquisto dell’EMS Synthi 100 quando questo strumento era quasi solo un concetto, un'idea. In quel periodo la EMS stava producendo il noto sintetizzatore AKS, drasticamente più piccolo. Allo Studio c'erano ancora i due fondatori, uno era Paul Pignon, l'altro era il compositore Vladan Radovanovic. Paul era più vicino ai computer e anche alla computer music, fu lui a prendere i contatti con la EMS Company di Londra; è andato lì e ha iniziato a negoziare per l'acquisizione del sintetizzatore. E poi, per farla breve, una cosa che abbiamo scoperto attraverso i documenti che abbiamo in Studio e anche attraverso la storia dello stesso Paul Pignon, è che se Radio Belgrado a quel tempo non avesse ordinato uno strumento del genere, probabilmente EMS non l’avrebbe mai messo in produzione. Era troppo costoso, era troppo grande. Quindi, grazie all'iniziativa di Radio Belgrado uno di quegli strumenti è stato costruito per noi... e poi hanno iniziato a realizzarli per BBC Radio, per alcune università… Quello che è arrivato da noi nel '70 era il numero di serie 4.
J. M. - Wow, questa è una parte davvero incredibile della storia, non ne sapevo nulla! Ma allora, come è nata l'idea di costruire questo strumento, perché all’EMS di Belgrado hanno sentito il bisogno di avere un synth del genere?
S. M. - Prima di tutto, c’è da dire che Vladan Radovanovic aveva trascorso un po' di tempo presso lo studio polacco di musica elettronica per vedere cosa poteva essere usato per manipolare il suono... A quel tempo gli EMS erano piuttosto sperimentali, se dai un'occhiata dagli anni '50 in poi, al GRM e a molti altri luoghi, era fondamentalmente tutto basato su qualche sperimentazione con la tecnologia. Ciò che è interessante è che ora noi consideriamo il Synthi uno strumento, ma a quel tempo, quello che i compositori immaginavano, ciò di cui avevano bisogno, era una workstation, quindi Synthi per loro era qualcosa simile a come noi intendiamo il computer di oggi, era lo Studio stesso. Nel nostro Studio il Synthi è combinato con altri due registratori, in modo che uno potesse essere usato per riprodurre il suono attraverso il Synthi e uno per registrare la rielaborazione del Synthi… e poi c’era il nastro per il mastering. Ad alcuni storici e musicologi piace dire che il Synthi 100 è stato l’inizio della strada verso il digitale, lo ritengono un sintetizzatore analogico/digitale perché ha una parte di sequencer... ma devo dire, da mia esperienza, che non ha nulla a che fare con la tecnologia digitale o con i sequencer digitali: è analogico, è basato su CV anche nella parte del sequencer. Però, solo il fatto che si potesse riprodurre qualcosa era già una strada verso questo tipo di pensiero digitale...
J. M. - Penso che questo dettaglio sia qualcosa di veramente peculiare di molti prodotti EMS: se pensi alla famosa parte “On the Run” dei Pink Floyd che è stata realizzata con un synth EMS, anche lì troviamo l’opera di un sequencer ma programmarlo non è così facile, come immaginiamo coi dispositivi dei nostri giorni…
S. M. - Sì, anche nel Synthi la parte più complicata dello strumento è il sequencer… e la cosa più divertente è che il Synthi si accende e si spegne con una chiave – almeno il nostro – e una volta spento puoi dire addio alla parte attivata nel sequence. Domani devi ricominciare tutto da capo.
J. M. - Non molto pratico…!
S. M. - Per niente!
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