Quando John Cage scelse di trasferirsi a New York per qualche tempo, la Grande Mela pulsava e riluceva grazie alle esperienze degli artisti europei scappati dalle loro nazioni in guerra o portati in suolo americano come esotica merce espositiva da galleristi e milionari patroni delle arti. Era quindi molto facile imbattersi tra i provocatori esponenti delle avanguardie del Vecchio continente e le connessioni tra il compositore americano e le espressioni figurative europee erano poi anche aiutate dalle attività della moglie di John, Xenia, pittrice e scultrice che nel 1943 fu inclusa nella celebre retrospettiva newyorkese sul movimento femminile surrealista 31 Women [The Exhibition by 31 Women, 5 gennaio - 6 febbraio 1943, a cura di Peggy Guggenheim].
Benché non lo avesse mai veramente conosciuto di persona, nel 1947 Cage aveva scritto Music for Marcel Duchamp, lavoro solista realizzato come colonna sonora per la parte di Marcel Duchamp nel film di Hans Richter Dreams That Money Can Buy. La composizione è uno dei brani più vecchi per piano preparato e prevedeva sette striscioline di feltro, una vite e una striscia di gomma a cavallo di tre corde per modificare gli armonici prodotti dallo strumento.
Qualche decennio dopo, il gioco degli scacchi divenne complice e collante dell'amicizia tra John e Marcel. Come ammise candidamente Cage: "usavo gli scacchi come pretesto per stare con Duchamp", tanto che nel 1966 i due erano giunti al punto di incontrarsi settimanalmente per raffinare la sapiente arte. Raccontava Cage:
Poiché lui giocava così bene e io così male, giocavo con Teeny, e anche lei giocava meglio di me. Ogni tanto Marcel dava uno sguardo alla nostra partita, e nel frattempo schiacciava un pisolino. Ci avrebbe dato degli stupidi. Ogni tanto si faceva molto impaziente con me. Gli pareva che non volessi vincere. Effettivamente, io ero così deliziato dallo stare con lui che la nozione di vittoria passava in secondo piano. Quando giocavamo assieme, mi dava un cavallo in vantaggio. Era estremamente intelligente e vinceva quasi sempre. Nessuna delle persone attorno a noi giocava meglio di lui. Cercando di insegnarmi a giocare, Marcel diceva qualcosa che sembrava molto orientale: "Non giocare solo dal tuo versante, gioca entrambe le parti". Ci ho provato, ma quello che mi disse colpì di più dei risultati che diede.
[Difference/indifference: Musings on Postmodernism, Marcel Duchamp and John Cage, a cura di Moira Roth, Marcel Duchamp, Jonathan D. Katz, John Cage, Roth Moira, OPA, New York 1998, p. 74]
Per quante affinità oggi si possano trovare tra il Dadaismo e la musica di Cage, il compositore americano negò sempre di aver voluto appartenere con la sua poetica al movimento francese.
L'unica guida ammessa dal musicista era quella dello Zen, che nell'America degli anni Cinquanta esondò come una vera e propria moda, andando ad arrampicarsi anche negli studi critici in un brulicare di titoli come: Lo Zen e la beat generation, Lo Zen e la psicoanalisi, Lo Zen e la musica di avanguardia in America, Lo Zen e la pittura informale, Lo Zen e la filosofia di Wittgenstein, Lo Zen e Heidegger, Lo Zen e Jung...
Come affermava Umberto Eco nella bellissima raccolta di saggi Opera aperta. Forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee, Cage è da sempre considerato "il profeta della disorganizzazione musicale, il gran sacerdote del caso".
L'indeterminazione comincia a muovere i primi passi nella musica di Cage già attraverso l'impiego del pianoforte preparato: la posizione degli oggetti da inserire fra le corde, per quanto possa essere indicata in modo preciso, subisce la differenza dei telai degli strumenti. In questa pratica, è impossibile stabilire con assoluta certezza dei parametri che diano risultati esatti.
Con Imaginary Landscape n°4 (1951) e Music of Changes (1951) Cage diviene ufficialmente il padre dell'indeterminazione applicata al campo musicale, lontano dalla ricerca di costanza e forma dell'alea serialista; se i serialisti ricercavano l'ordine nascosto nelle possibilità, Cage liberava il Caso e lo lasciava pascolare tra le imperfezioni della carta e i lanci delle monete divinatorie, strumenti usati per aderire il più squisitamente possibile alla natura e al funzionamento reale del mondo.
È il 1927 quando il fisico tedesco Werner Karl Heisenberg, tra i padri della meccanica quantistica, enuncia il principio di indeterminazione.
Come scrive Eco nel già citato volume, da quel momento in poi:
L'uomo occidentale ha appreso dalla fisica moderna che il Caso domina la vita del mondo subatomico e che le leggi e le previsioni da cui ci facciamo guidare per comprendere i fenomeni della vita quotidiana sono valide solo perché esprimono delle medie statistiche approssimative. L'incertezza è diventata il criterio essenziale per la comprensione del mondo; sappiamo che non possiamo più dire "all'istante X l'elettrone A si troverà nel punto B", ma "all'istante X vi sarà una certa probabilità che l'elettrone A si trovi nel punto B". (...) La scoperta di questo comportamento del microcosmo e l'accettazione delle leggi di probabilità come l'unico mezzo atto a conoscerlo, devono venire intesi come un risultato di altissimo ordine. C'è in questa accettazione la stessa gioia con cui lo Zen accetta il fatto che le cose siano esclusive e mutevoli.
Personalmente, ho sempre accolto ciecamente la figura di Cage come utero paterno dell'arte dell'indeterminazione in materia musicale ma, ieri pomeriggio, al parco, mi hanno fatto leggere un brano tratto da una biografia di Marcel Duchamp che ti riporto qui:
Durante le feste natalizie del 1912, Marcel realizzerà con le sorelle minori Yvonne e Magdeleine un trio vocale fondato sull'arrangiamento improvvisato di una serie di note musicali estratte a sorte da un cappello (...). Questa composizione musicale a uso domestico, interamente fondata sul caso, prefigura già i Tre rammendi-tipo che Duchamp realizzerà qualche mese più tardi". A questa seguirà una seconda partitura "scritta su carta pentagrammata, è corredata da una serie di disegni de di istruzioni per l'uso riguardanti il dispositivo: un recipiente contenente ottantanove palline corrispondenti alle ottantanove note di un normale pianoforte, dal quale le palline cadono in una fila di vagoncini. (...) Duchamp comporrà diversi pezzi musicali fondati sul caso; essi restano però allo stato progettuale. Bisognerà aspettare il 1960 perché il primo venga eseguito in pubblico.
[Bernard Marcadé, Marcel Duchamp. La vita a credito, Johan&Levi Editore, Monza 2009].
La frase di Cage scritta in una lettera a Roger Reynolds nel 27 novembre 1968 acquista improvvisamente un senso ancor più intenso. Scriveva Cage:
Un modo per scrivere la musica è studiare Marcel Duchamp.
Sarà dunque lecito chiedersi se per caso la rivoluzione apportata da Cage abbia potuto muovere i suoi passi anche a partire dal pensiero di Duchamp e dalle sue prime opere musicali...
Come scrive ancora Eco:
"Occorre domandarsi se uno dei motivi per cui lo Zen è riuscito congeniale all'Occidente non consista nel fatto che le strutture immaginative dell'uomo occidentale sono state rese ormai agili dalla ginnastica surrealistica e dalle celebrazioni dell'automatismo".
"Nella consolante unità del Tao ogni suono vale tutti i suoni, ogni incontro sonoro sarà il più felice e ricco di rivelazioni: all'ascoltatore non rimarrà che abdicare alla propria cultura e perdersi nella puntualità di un infinito musicale ritrovato".
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Per saperne di più:
• Difference/indifference: Musings on Postmodernism, Marcel Duchamp and John Cage, Di Moira Roth, Marcel Duchamp, Jonathan D. Katz, John Cage, Roth Moira, OPA, New York 1998.
• Conversing with Cage, a cura di Richard Kostelanetz, Routledge, New York 2003.
• Umberto Eco, Opera Aperta, Bompiani, Milano 1997 (leggilo qui).
• Kat Buckley, Peggy Guggenheim & The Exhibition by 31 Women, School of the Art Institute of Chicago, Senior Thesis, 2010.
• John Cage in The Sarah's Chess Journal: History & Culture [una raccolta di citazioni e documenti]
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